martedì 18 settembre 2012

COME CADERE DAL PERO E FINGERE CHE SIA TUTTO OK

Questa mattina ho deciso di usufruire del servizio navetta che il compound mette a disposizione di chi vuole andare in due o tre punti strategici del circondario (supermercato, zona commerciale e via dicendo).
In genere non ci sale quasi mai nessuno, ma questa mattina oltre a me c’erano altre due donne: una di mezz’età, capello corto, brizzolato, occhialino, aria decisa e pratica, verosimilmente americana e - scopro poco dopo - giornalista. L’altra, una bella giapponese un po’ stralunata che manda i tre figli alla stessa scuola delle mie, che quindi conosco di vista e saluto quotidianamente.
Una volta sul bus – durata del viaggio circa dieci minuti – l’americana comincia a chiedere alla giapponese dove sia diretta e si raccomanda che non se ne vada troppo in giro per la città. L’altra la rassicura e specifica che la sua sarà una breve trasferta, solo per andare a trovare qualcuno in un compound vicino. Incuriosita aguzzo l’orecchio e in dieci minuti mi faccio una cultura su quello che sta succedendo in questi giorni a Shanghai, ma anche più diffusamente in Cina. L’americana infatti sta andando in People Square (per chi non lo sapesse è il centro della città) per assistere alla nuova manifestazione anti-Giappone di quest’oggi.
Dopo aver abbozzato e maledetto la mia ignoranza, sono tornata a casa, mi sono attaccata ad internet e ho messo insieme i pezzi, che in questi giorni sono stati parecchi.
Il fatto, in breve, è questo: ci sono queste isole Diaoyu-Senkaku, sostanzialmente disabitate, che il Giappone ha deciso di nazionalizzare, ma che sono rivendicate anche dalla Cina e, come se non bastasse, pure da Taiwan. Tutto questo interesse, da quello che ho capito, deriva dall’aver scoperto, in realtà quarant’anni fa, che nei fondali intorno alle isole ci sono risorse energetiche che, si sa, di questi tempi fanno comodo.
La questione apparentemente leggera è in realtà più spinosa di quanto sembri: i cinesi cominciano ad incazzarsi parecchio coi giapponesi, i quali a loro volta stanno premendo sugli americani, che “devono” eventuale protezione a questi ultimi dalla Cina (per antichi rapporti scritti). I cinesi di contro approfittano della situazione per mostrare il pugno di ferro sulle questioni di possedimenti territoriali a Filippine e Vietnam, e – dulcis in fundo  - sia Cina che Giappone sono prossimi a cambi politici al vertice. Quindi, come spesso accade con tutte le questioni politiche, il fatto in se’ e per se’ è di poco conto. Ciò che importa è mostrare i muscoli.
Dal punto di vista di un’italiana espatriata in Cina che se ne sta alla finestra a guardare, tutto questo è un po’ inquietante, soprattutto quando scopro che la giapponese oggi, giorno di proteste cinesi in città, ma - già che c'è anche domani - non manda i figli a scuola per precauzione, che è contenta perché spesso la scambiano per coreana, che non ha l’ayi, probabilmente perché non vuole che una cinese, magari un po’ incacchiata, le tenga i figli in sua assenza.
Tra l’altro questa sorta di attrito con le ayi l’avevo già notata qualche giorno fa perché di recente avevo proposto alla mia di andare a sentire per un lavoro al mattino da una mia conoscente giapponese. Quando ha saputo la nazionalità di questa mia “supposta” amica ha decisamente storto il naso ed ho colto che sarebbe andata a parlarle solo perché, come dire, PECUNIA NON OLET.
Che tra cinesi e giapponesi non ci fosse un gran feeling non è certo una novità, ma apprendere che il motivo non è legato alla storia (almeno non solo) bensì alla cronaca non è piacevole, almeno visto da chi ci vive in mezzo.
Tanto più che sabato scorso in tutta Shanghai c’è stata una esercitazione che simulava un allarme aereo e diverse volte abbiamo sentita risuonare una sirena antiaerea che, onestamente, non suggeriva niente di buono.

Come dire: mi sono sentita un po’ meno nel Truman Show e un po’ più in  Pearl Harbour.
Vedremo se finirà tutto tipo Operazione sottoveste….



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