lunedì 9 dicembre 2013

PERMETTE UNA PAROLA?

Ci sono buone giornate, da queste parti.
E altre, decisamente meno buone.
Come, per esempio, quando vai a ritirare le camicie al mercato dei tessuti. Quello lontano. Che ti costa un botto di taxi, pure se è Shanghai, e in cui ti ruga parecchio tornare, perché ci sei stata già due settimane fa, e ti eri fatta due belle camicette nuove, ma poi come un’imbecille le hai dimenticate nel vagone della metropolitana perché scesa di fretta, infastidita dall'incurante cinesissima calca.
Sicché ci torni, e ti girano ancora di più le palle quando il tuo uomo, dopo averti assicurato una data, in quella data ti informa che le camicie non ci sono. E che magari se aspetti un attimo, lui chiama chi di dovere e a breve sarà tutto risolto. Solo che ti accomodi sull'unica zozza panchina della zona e aspetti, aspetti e aspetti ancora, ma non succede nulla. E la cosa peggiore è che quando chiedi “Quanto ci vorrà?”, il sarto (bah, sarto…) ti dice che è questione di poco, e allora aspetti ancora e dopo un po’ di incazzi e chiedi di visualizzare meglio il concetto di Attimo. 
Un Attimo fatto di minuti? O di ore? Settimane? Un’Era geologica o il tempo di uno starnuto?
Perché non c’è verso. Il cinese in questo è ostinato: piuttosto che darti una risposta, prende tempo. Tergiversa.
Per cui finisce che chiedi la consegna a casa, e lo chiedi con tono brutto brutto, per dare a intendere che col piffero che gliela paghi ‘sta consegna.
Però poi in fondo la mattinata poteva andare peggio perché nell'eternità in cui hai aspettato sulla panchina zozza, è arrivata una coppia di vecchietti, un po’ tipo la coppia dei Muppet, un po’ Randolph e Mortimer dei film di Eddie Murphy, quelli che vanno sempre in coppia, e un po’ il prototipo del vecchietto con il giornale sotto il braccio che cazzeggia in strada, vicino ai cantieri, per sbirciare i lavori.
E prima ti chiede se sai cosa significa una parola in inglese e cerca di fare una sorta di spelling, e poi siccome tutta la faccenda é alquanto incomprensibile, il suo amico gli offre carta e penna e lui scrive: F-U-R-R-I-E-R-Y. E tu immagini che sia qualcosa che ha a che fare con il pelo e la tua anima più sospettosa subito pensa che il vecchietto sia un depravato e voglia dire qualcosa di sconcio, ma poi non hai il coraggio di cacciarlo e allora cerchi sul traduttore dell’Iphone e si scopre che significa "pellicceria" e lui e il suo amico si illuminano e fanno "si si" con la testa, come a riprova che era proprio quello che pensavano loro. 
E poi però il vecchietto va avanti a parlare, piano piano diventa meno timido, si accomoda vicino a te sulla panchina zozza e si mette a chiacchierare, perché in fondo solo questo vuole. Chiacchierare. E farlo in inglese, perché lui l’ha studiato all'università (due Attimi Ere geologiche fa) ma non ha mai avuto occasione di parlarlo, perché  non conosceva nessuno di straniero. 
E così l’attesa ti passa indolore, e quando decidi di alzarti, per andare a fare il cazziatone all'uomo delle camicie introvabili, quasi ti spiace salutarlo, lui e il suo amico silenzioso che sicuramente faceva di si con la testa ma non capiva niente. Te ne vai ma saresti rimasta ancora un pochino, a chiacchierare, così, in mezzo alla calca della domenica del mercato dei tessuti, come facevano loro: tranquilli, prendendosi il loro tempo e godendo del piacere di una conversazione un po’ diversa, lì, in uno dei luoghi più affollati e caotici di Shanghai.

In fondo, quindi, è stata una buona giornata.
Anche se resterà un mistero se i due vecchietti cinesi ottantenni desiderassero veramente sapere il significato della parola furriery o cercassero solo un pretesto per attaccare bottone.



4 commenti:

  1. Ma , e le camicie? Non puoi lasciarci nel dubbio:le hai ritirate o te le sei fatte mandare a casa? Carini comunque i due Mappet.Cora

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  2. Ma che bello, avere l'occasione di scambiare quattro chiacchere così, senza fretta :)

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  3. BIzzarro, in effetti. Soprattutto a Shanghai!

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