Tina é la mamma di Madison, la
compagna di classe di Alice, quella che io chiamo Medison, e che mia figlia -correggendomi- chiama Med’sson. Incazzandosi pure, perché “Mamma
parlo meglio io di te l’inglese”. Capito ‘sta fetente.
Comunque Madison ha già sei anni,
ché qui le classi sono divise per età ma la linea di spartiacque è settembre,
quindi se sei nato ad ottobre a sei anni vai ancora alla materna. E’ una bella
bimba asiatica, con una frangetta sbarazzina e una chiacchiera degna della sua
età. Scopro poi che la mamma è di origine vietnamita, il papà mezzo cinese e
mezzo hawaiano, il ché in effetti ha prodotto un bel mix, alla faccia della
teoria della purezza delle razze.
In realtà Madison e i suoi sono americani, nati
e cresciuti tra San Diego e l’Arizona, non sanno una parola di cinese e la
bambina appena arrivata a Shanghai, tre anni fa, è rimasta a bocca aperta di
fronte ad un mondo di occhi a mandorla come i suoi, che però non aveva mai
visto prima. La mamma di Madison è appunto Tina, donna palluta e tutta di un
pezzo, che cammina a testa bassa, saluta a denti stretti e sorride poco. Però
qualcosa in lei mi ispira. E poi scopro
che il babbo è architetto e sono curiosa di farmi raccontare da Tina com’è fare
il mio lavoro qui.
Una mattina la bracco: le chiedo
se pensa che possa andare bene vedersi un giorno a merenda dopo la scuola. Lei
mi dice ok con labbra tirate e aggiunge che Maddy se sarebbe “very glad”, ma
poi mi saluta a testa bassa e se ne va. Dopo qualche giorno la fermo di nuovo: le
chiedo il numero di telefono, ché così magari organizziamo la cosa tramite sms.
Mi risponde di spedirmi il numero di cellulare con una mail. Eccheppalle.
Controllo e mi accorgo che non ho
più la mailing list della classe. La ri-blocco il giorno dopo e lei sempre con
sguardo di fuoco mi detta in tempo zero il numero. Occhei, ce la possiamo fare. Passa un altro giorno e le mando un
sms: merenda mercoledì da noi? Nessuna risposta. La bracco il lunedì e chiedo
conferma: non ha ricevuto nessun sms ma mercoledì va comunque bene.
Appuntamento fuori da scuola. Evidentemente devo aver copiato male il suo
numero…chissà il cinese che ha ricevuto il messaggio che cosa ha capito!
Ieri finalmente arriva il giorno:
sono un po’ in tensione perché l’idea di dovermi intrattenere in conversazione
almeno un paio d’ore con Tina la Sanguinaria, per giunta in inglese, mi prende male. Mi maledico per questo invito. Non ho voglia di
socializzare, mi fa fatica conversare, è impegnativo, io in fondo sono un orso.
La prossima volta Alice la mando a stendere.
Ci incontriamo fuori da scuola e
si decide che io comincio a portarmi avanti con Orson in bici e Alice va con
loro in taxi, tanto è un tragitto di cinque minuti. Mentre le saluto, una voce
mi dice che non ho il suo numero di telefono, ma tanto che può succedere? Prenderanno
il taxi e in pochi minuti saranno al compound. Mi avvio, arrivo, faccio
scendere Orson, entro in casa, mettiamo le ciabatte, preparo la tavola per la
merenda, tiro fuori il succo dal frigo, ché poi sennò è freddo, leggo un libro
alla piccola, poi un altro e un altro ancora, poi facciamo il girotondo e la
bella lavanderina. Butto un occhio all’orologio; sono passati venti minuti,
forse di più. Adesso arrivano, va. Giochiamo, leggiamo ancora.
Ore? I minuti sono
quarantacinque.
Secondo me dopo quarantacinque
minuti di attesa di una figlia lasciata ad una sconosciuta con la faccia da
mastino napoletano incazzato di cui non ho il numero di telefono, per percorrere
un tratto di strada di – esagerando – un paio di chilometri, è lecito agitarsi
un po’. Cominciano a susseguirsi gli scenari più disastrosi. Quello più
verosimile: si sono perse e nemmeno lei ha il mio numero. Mia figlia ha cinque
anni e non è propriamente Magellano, quindi le probabilità che sia in grado di
orientarsi per la città sono minime. Quello più drammatico: Tina è effettivamente
una sanguinaria, commercia bambini occidentali spacciandosi per una brava
mammina, e porterà mia figlia in qualche desolata risaia dello Yunnan a
lavorare come schiava e a spelare pannocchie.
Inspira e stai calma.
Chi chiamo?
Un’altra mamma!!! Scusa hai il
numero di Tina la s…hem Tina, la mamma di Madison? No, sorry.
Allora la scuola!!! Eh già, ma
provate voi a chiedere ad una scuola di poter avere il numero di un’altra
mamma: mi fanno il terzo grado ed impiegano almeno cinque minuti per
ricostruire chi sono io, di chi sono la madre, chi è la compagna di classe,
come si chiama la mamma. Mi dicono che la mamma di Madison non si chiama Tina:
a loro risulta che si chiami DORA. Occacchio: la teoria dello smercio di
bambini nello Yunnan prende forma.
Finalmente concedono di essere
loro a chiamare Tina e lasciare a lei la facoltà di scegliere se richiamarmi
oppure no. Dopo tre minuti mi richiamano e finalmente mi danno ‘sto cavolo di
numero di telefono. Allo scadere della prima ora in taxi finalmente mi posso
rasserenare almeno sulle intenzioni di questa donna: il tassista è un emerito
pirla che le sta portando dalla parte opposta della città. La mia serenità
viene meno di nuovo quando mi rendo conto che 1) Tina non sa una parola di
cinese (ma che cacchio hai fatto qui
negli ultimi tre anni?) 2) Alice piange disperata perché è spaventata e vuole
tornare a casa 3) il tassista è effettivamente un pazzo e urla come un ossesso
4) si trovano sulla Yan’an, la sopraelevata urbana che taglia la città, quindi non
è ragionevole per loro scendere dal taxi (sarebbe un po’ come farlo sulla tangenziale
est o sul raccordo anulare..). Cerco di aiutarle ma senza sortire grande
effetto: provo a parlare anche io con questo DeNiro mandarino e lui mi urla al
telefono i peggiori improperi del mondo. D’accordo, il mio cinese non può dirsi
avanzato, però che modi.
Per farla breve, sono passati
altri quarantacinque minuti, per un totale di quasi due ore. DUE ORE!!!) prima
di riuscire a vedere questo dannato taxi davanti alla porta di casa: con Tina
la Sanguinaria incavolata come una bestia per aver dovuto pagare una cifra
improbabile e le bambine felici e zompettanti come pasque.
Vi dirò, alla fine Tina non è nemmeno
così sanguinaria. Abbiamo fatto merenda, ci siamo fatte due risate e ha detto
che la prossima volta andiamo noi a casa loro.
In metropolitana però.
eccolalà, ricomincio a respirare. Una carica mica da scherzo per iniziare la giornata nella sonnacchiosa pianura padana. Diooo che ansia m'è presa. 10+ per il tuo self-control.
RispondiEliminaSelf control...insomma...
EliminaDopo essermi ripresa dallo svenimento... Vedo che 'sta mania di avere un nome e usarne un altro è intercontinentale!
RispondiEliminaIn effetti non le ho più chiesto se é la scuola che ha fatto casino oppure si chiama effettivamente Dora. La prossima volta che la incontro..
EliminaFiuuu... fino all'ultimo ho trattenuto il respiro temendo una cosa stile "Io vi troverò" (quindi tu che spari a mezza Cina per riprenderti la piccola) :) un abbraccio!
RispondiEliminaChe poi...se succedesse davvero: ti immagini? Dove la vado a cercare? Brr, non ci voglio nemmeno pensare!
EliminaE io che vi avevo invitato ad un TRANQUILLO pomeriggio italico!
RispondiEliminaLo vedi...il proverbio funzionano sempre....Amici e buoi dei paesi tuoi. Comunque le avventure qui ti vengo no a cercare, oggi ho preso un taxi il cui guidatore sembrava il Belladdormentato nel bosco.l Ronfava a tutto spiano nonostante le mie urla dal backstage! Grazie al cielo gli e' suonato il cellulare altrimenti sarei ancora al Cialefu!
:-} S.
Visto?
EliminaTu ad una "banale" merenda, mentre noi: tutta vita! Tutta emozione!
Certo che viene la pelle d'oca, al momento. Comunque sei stata brava a gestire la cosa ,nei limiti delle tue possibilità. Io ,pensandoci bene, mi sarei molto agitata.in ogni caso il racconto è stato avvincente!Cora
RispondiEliminaMa non ho pianto!!!!
Eliminanumeri di telefono e indirizzi sempre a portata di mano: fondamentali in questa citta'! un tuo biglietto da visita nello zaino delle bambine! o magari la fortuna di avere un taxista meno lunatico...
RispondiEliminache brividi...
cris
Le metto la targhetta come ai cani, stavolta...
EliminaCiao e complimenti per il blog strepitoso. Sul fatto che in tre anni di Cina Tina non sappia una parola di cinese, beh, è piuttosto normale. Ovviamente salvo le eccezioni, che comunque ci sono, gli anglofoni tendono spesso a non sforzarsi minimamente di apprendere la lingua locale, visto che loro posseggono "LA LINGUA DEL POTERE". Ho visto anglofoni che dopo 10 ANNI di Giappone, non erano andati oltre un minimale survival japanese! 10 anni. I giapponesi dicono che questo tipo di occidentali di chiude in una "gaijin bubble", una bolla dello straniero che li isola da ciò che li circonda. Ed è un vero peccato.
RispondiEliminaAlberto